Recentemente, la Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale riguardante l’imputazione coatta: il Giudice per le indagini preliminari (Gip) può ordinare l’iscrizione di un reato diverso da quello per cui è stata formulata una richiesta di archiviazione nel registro delle notizie di reato, ma non può costringere il Pubblico Ministero (Pm) a esercitare l’azione penale per tale reato (Cassazione penale, sentenza n. 7738/2024).
Questo pronunciamento risulta da un caso in cui il Gip di Firenze aveva esteso l’imputazione coatta a un reato non originariamente contestato, oltre a quello per cui era stata richiesta l’archiviazione. La Corte ha sottolineato l’abnormità di tale provvedimento, evidenziando come alteri l’equilibrio tra i poteri del Pm e del Gip, minando sia la procedura che i diritti di difesa dell’indagato.
Questa sentenza ribadisce l’importanza della corretta distribuzione delle competenze processuali, confermando che l’iscrizione di nuovi reati nel registro deve lasciare al Pm la libertà di valutare ulteriori indagini o l’archiviazione, senza costrizioni esterne.
Così gli Ermellini: ““È inibito al giudice per le indagini preliminari ordinare al pubblico ministero la formulazione della imputazione nei confronti della persona indagata per ipotesi di reato diverse da quelle per le quali è stata richiesta l’archiviazione, dovendo in tal caso il giudice limitarsi a ordinare l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. degli ulteriori reati che abbia ravvisato nelle risultanze delle indagini portate a sua conoscenza. Infatti, le disposizioni dell’art. 409 c.p.p., commi 4 e 5, concernenti i poteri di intervento del giudice delle indagini preliminari sull’esercizio dell’azione penale, devono formare oggetto di interpretazione estremamente rigorosa, al fine di evitare qualsiasi ingerenza dell’organo giudicante nella sfera di autonomia della pubblica accusa.” (Cass. pen., Sez. V, 01/12/2023 – 22/02/2024, n. 7738).
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